martedì 15 settembre 2009

I servizi pubblici fra società mista e in house providing

L'AGEA, Agenzia del Ministero delle Politiche Agricole e forestali per le erogazioni in agricoltura, competente in materia di coordinamento e di gestione delle attività agricole e della conseguente acquisizione e verifica di tutti i dati relativi al settore agricolo nazionale tramite il SIAN, sistema informativo agricolo nazionale, fermi i poteri di indirizzo e monitoraggio del Ministero, indiceva una gara per la selezione del socio privato di minoranza della costituita società mista SIN s.r.l., con capitale sociale interamente sottoscritto dall'AGEA, mediante l'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica.
L'evoluzione storico-normativa della società mista
L'introduzione della società mista con capitale pubblico-privato, come modello di gestione del servizio pubblico, viene fatta risalire all'art. 22 della L. n. 142/90 (1), che consentiva il ricorso al modello delle società a prevalente capitale pubblico locale per l'erogazione di servizi di carattere economico-imprenditoriale, qualora risultasse «opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati».
Successivamente, mentre il D.Lgs. n. 157/95 consentiva la partecipazione pubblica in tali società anche alle Regioni e allo Stato, la L. n. 172/97 modificava l'art. 22 della L. n. 142/90, prevedendo la società mista a prevalente capitale pubblico locale come modello di gestione dei servizi alternativo, tra l'altro, alla concessione.
L'art. 35 della L. n. 441/2001, invece, provvedeva a modificare l'art. 22 della L. n. 142/90, nel frattempo trasfuso nell'art. 113 del D.Lgs. n. 267/2000 (cd. Testo Unico degli Enti Locali), prevedendo la società per azioni, scelta mediante gara pubblica, quale unica modalità di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale (2).
Il modello della società mista è stato, però, "riesumato" dalla L. n. 326/2003 (di conversione del D.L. n. 269/2003), nonché dall'art. 4, comma 234, della L. n. 350/2003, risultando oggi annoverato tra i soggetti che erogano servizi pubblici locali ai sensi del predetto art. 113 del TUEL.
L'attuale affidamento del servizio pubblico locale a società miste, secondo il disposto dell'art. 113, comma 5, lett. b) del D.Lgs. n. 267/2000, è, tuttavia, subordinato, ai fini della sua compatibilità con i principi nazionali e, soprattutto, comunitari in materia di concorrenza, all'espletamento di una gara, con procedure ad evidenza pubblica, per la scelta del socio privato.
Tale subordinazione, oltre ad attuare il principio della concorrenza, trova possibile spiegazione anche nell'intento, del legislatore italiano, di legittimare le gestioni dirette fino a quel momento esistenti, contraddistinte, per la massima parte, da affidamenti a società di capitali sorte in seguito a offerte pubbliche di vendita (3).
L'Adunanza Plenaria n. 1/2008 del Consiglio di Stato, non esprimendosi in maniera diretta sulla natura (pubblica o privata) attribuibile alla società mista (4), ha collocato tale tipologia di società nell'ambito della nozione di Partenariato Pubblico Privato (PPP), rinvenibile nel "Libro Verde", presentato dalla Commissione CE il 30 aprile 2004, e riferita a tutte le «forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un'infrastruttura o la fornitura di un servizio».
Nel prefato documento la Commissione CE evidenzia un aumento del ricorso allo strumento del Partenariato Pubblico Privato, e lo riconduce - nell'ottica di un'evoluzione del ruolo dello Stato nella sfera economica da operatore diretto ad organizzatore, regolatore e controllore - a diversi fattori, tra cui la necessità di ottenere il contributo di finanziamenti privati e la possibilità di beneficiare dei metodi di funzionamento del settore privato nel quadro della vita pubblica.
Come evidenziato dalla prefata decisione dell'Adunanza Plenaria, la ratio dell'istituto va rinvenuta nella difficoltà dell'amministrazione di reperire, in maniera autonoma, risorse necessarie ad assicurare la fornitura di un'opera o di un servizio alla collettività e nella conseguente necessità di ricorrere, al fine di poter garantire un'azione amministrativa efficiente ed efficace, fortemente improntata a criteri di economicità, a capitali ed energie private.
Il ricorso a forme di Partenariato Pubblico Privato non deve, però, come precisato sia dalla Commissione che dal Parlamento europeo, essere identificato come "l'anticamera" di un processo di privatizzazione delle funzioni pubbliche, costituendo proprio strumento alternativo a quest'ultima, in quanto possibile strumento di organizzazione e gestione delle funzioni pubbliche da parte delle pubbliche Amministrazioni, che continuano ad essere titolari della più ampia facoltà di stabilire se esercitare direttamente i propri compiti istituzionali, avvalersi o meno di soggetti privati terzi oppure di imprese interamente controllate.
Inoltre, i Partenariati Pubblico Privati (5) possono essere considerati delle forme di cooperazione a lungo termine, disciplinate contrattualmente, tra il settore pubblico e quello privato per l'espletamento di compiti pubblici, all'interno delle quali le risorse sono gestite in maniera congiunta e i rischi legati ai progetti sono suddivisi in modo proporzionato sulla base delle competenze di gestione del rischio dei partner del progetto, senza rappresentare «un primo passo verso la privatizzazione di compiti pubblici», dal momento che essi «costituiscono un modo possibile per organizzare il compimento dei compiti del settore pubblico e che quest'ultimo anche in futuro deve conservare la facoltà di decidere se eseguire una funzione direttamente oppure tramite una propria impresa o con terzi del settore privato (6)».
Ferme le premesse sopra evidenziate, l'Adunanza Plenaria n. 1/2008 del Consiglio di Stato considera principio oramai acquisito nell'ordinamento interno la necessità, in ambito di costituzione di società miste, di ricorrere a procedure selettive per la scelta del partner privato; principio, peraltro, rinvenibile, de iure condito, nel testo dell'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 163/2006 (7), nella parte in cui prescrive che «Nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un'opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica».
Ne consegue che all'interno del nostro ordinamento sia stato codificato il principio secondo cui, nella costituzione di società miste, consentite nei soli casi già previsti da una disciplina speciale, nel rispetto del principio di legalità, la scelta del socio deve avvenire "con procedure di evidenza pubblica".
Infine, l'art. 23-bis, comma 2, del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 133/2008, in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica, dispone che «Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive a evidenza pubblica, nel rispetto dei princìpi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei princìpi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei princìpi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità».
Lo schema di regolamento del decreto del Presidente della Repubblica attualmente disponibile sulla rete internet (8), recante il regolamento di attuazione dell'art. 23-bis, comma 10, del D.L. n. 112/2008, all'art. 2 stabilisce che «I servizi pubblici locali sono affidati: a) in via ordinaria a imprenditori o società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica secondo quanto disposto dall'art. 23-bis, comma 2, nonché a società a partecipazione mista pubblica e privata a condizione che la selezione del socio avvenga mediante le stesse procedure, nel rispetto dei principi di cui al medesimo art. 23-bis, comma 2, che abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio».
Pertanto, alla luce dell'ultimo intervento del legislatore in subiecta materia - sebbene il regolamento governativo ex art. 23-bis, comma 10, del D.L. n. 112/2008 non sia stato ancora emanato - l'affidamento del servizio pubblico a società mista viene, oramai, considerata modalità ordinaria di affidamento, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante le stesse procedure, nel rispetto dei principi di cui al medesimo art. 23-bis, comma 2, che abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio (in conformità allo stesso disposto dell'art. 23-bis, comma 10, del D.L. n. 112/2008).
Le tre distinte teorie sull'affidamento diretto a società miste
Secondo la seconda Sezione del Consiglio di Stato nel parere n. 456/2007, la sostanziale equiparazione tra gara per l'affidamento del servizio pubblico e per la scelta del socio, impedirebbe che vi siano distorsioni nel libero gioco della concorrenza e violazioni del principio della parità di trattamento in danno di tutti i soggetti economici operanti nel settore interessato dall'oggetto dell'affidamento (9).
Infatti, relativamente alla legittimità di affidamenti senza gara in favore di società miste nelle quali pure il partner privato sia stato scelto con gara, si sono sul punto registrate diverse posizioni.
Per una prima posizione, di recente accolta da C.G.A. Sicilia, 27 ottobre del 2006, n. 589, è necessario concludere nel senso dell'illegittimità comunitaria e della doverosa disapplicazione del citato art. 113, comma 5, D.Lgs. n. 267/2000.
Diverse le argomentazioni addotte a sostegno di tale posizione. In primo luogo, si rileva che se è vero che a monte, nella fase della costituzione della struttura societaria e della scelta del socio, è garantito il dispiegarsi della concorrenza, è parimenti vero che ci possono essere soggetti interessati ad ottenere l'affidamento del servizio pubblico locale, non anche a farlo in società con l'ente pubblico: la disciplina in questione finirebbe, pertanto, per imporre al soggetto interessato di entrare in società con l'amministrazione locale.
Il secondo argomento è quello con cui si evidenzia che gli stessi criteri di selezione del socio, e a valle di colui che deve gestire il servizio, sono diversi. Mentre nella gara per la selezione del socio assumono rilievo decisivo i criteri dell'affidabilità economica, della solidità finanziaria, della capacità organizzativa, nell'affidare il servizio, viceversa, assume peso decisivo la valutazione della concreta capacità del concorrente di gestire al meglio il servizio. Sicché anche i criteri di selezione cambiano.
La circostanza che ci sia stata la gara a monte non giustifica, pertanto, esonero dal gestire la gara a valle, in sede di affidamento del servizio.
È agevole, al riguardo, obiettare osservando che, se la società nasce con un oggetto ben delimitato, è certo consentito, già al momento di selezione del socio, effettuare il confronto tra gli aspiranti soci tenendo conto, non solo della rispettiva solidità finanziaria ed organizzativa, ma anche comparando i progetti di concreta gestione del servizio che questi sono tenuti a presentare. Sicché, non è vero che i criteri di selezione del partner e quelli di selezione a valle del soggetto cui affidare il servizio debbano necessariamente distinguersi: possono sovrapporsi a condizione che il servizio pubblico da affidare a valle alla costituita società sia già delimitato al momento in cui si indice la gara per la selezione del partner.
Inoltre, nella seconda gara, il soggetto pubblico si troverebbe nella doppia, inconciliabile posizione di amministrazione aggiudicatrice e (in quanto socio di una società interessata all'acquisizione del servizio) di concorrente.
Un opposto indirizzo ermeneutico, invece, manifestatosi essenzialmente in dottrina, sostiene che la società mista a prevalente partecipazione pubblica possa essere sempre affidataria diretta dei servizi, alla sola condizione che la scelta del contraente privato sia avvenuta mediante trasparenti procedure selettive (nel nostro ordinamento imposte, generalmente, dalle regole di contabilità concernenti i "contratti attivi").
L'idea di fondo di questa ipotesi ricostruttiva è che il contratto sociale presenta caratteristiche e funzioni radicalmente diverse da quelle proprie degli appalti, con la conseguenza che non avrebbero particolare rilevanza le regole - anche di derivazione comunitaria - concepite per garantire la concorrenza nei settori disciplinati dalle direttive in materia di appalti.
L'orientamento favorevole alla legittimità di affidamenti diretti di servizi a società miste fonda i propri orientamenti sullo scopo sottostante la costituzione stessa di tali forme societarie. Si rileva, infatti, soprattutto in relazione agli enti locali, che le società per azioni a capitale misto sono costituite dalle pubbliche Amministrazioni «al precipuo scopo di affidare loro i servizi pubblici di propria competenza», non rivestendo altrimenti alcuna utilità (10).
Una terza linea ermeneutica, intermedia tra le prime due, espressa in sede consultiva dalla seconda Sezione del Consiglio di Stato (parere n. 456/2007), muove anch'essa dalla premessa secondo cui il fenomeno dell'affidamento a società mista pubblica e privata vada accuratamente distinto dall'in house providing.
Secondo questa impostazione, sarebbe, tuttavia, illogico ammettere, in alternativa all'affidamento del 100% del servizio all'esterno, la (sola) rinuncia totale al mercato con la società pubblica in house e non consentire, invece - in settori specifici, individuati dalla legge considerando la peculiarità di una data materia e, quindi, l'inopportunità di una totale devoluzione ai privati, ma anche l'impossibilità tecnica di lasciar gestire il servizio interamente alla "parte pubblica" - un'apertura parziale a più flessibili "forme di collaborazione" pubblico-privato, laddove tale apertura si giustifichi razionalmente con l'esigenza di un controllo più stringente sull'operatore, in quanto svolto, non nella veste di committente, ma in quella di socio e, soprattutto, sia delimitata da tutte quelle garanzie di definitezza dell'oggetto e della durata dell'affidamento che sole possono ricondurre il modello ad un affidamento all'esterno (sia pure per certi aspetti peculiare) e non come un affidamento in house (11).
In altri termini, come si legge nel citato parere delle II Sezione «se è vero che la società mista, in quanto tale, non è sottoposta al controllo analogo, è dirimente la circostanza che proprio la componente esterna che esclude la ricorrenza dell'in house è selezionata con procedure di evidenza pubblica: la quota esterna alla pubblica amministrazione è, cioè, reperita con il ricorso ad un mercato che è certamente premiato, diversamente da quanto avviene nel caso della "chiusura in se stessa" dell'amministrazione in un modello di pura autoproduzione. E ciò avviene coniugando l'interesse alla valorizzazione delle risorse del mercato, che altrimenti resterebbero disattese da una logica di monopolio pubblico, con l'interesse dell'amministrazione pubblica alla scelta di moduli organizzatori che le consentano di esercitare un controllo non solo esterno (come soggetto affidante) ma interno ed organico (come partner societario) sull'operato del soggetto privato selezionato per la gestione».
Alla stregua di questa tesi, sembra allora ammissibile il ricorso alla figura della società mista (quantomeno) nel caso in cui essa non costituisca, in sostanza, la beneficiaria di un "affidamento diretto", ma la modalità organizzativa con la quale l'amministrazione controlla l'affidamento disposto, con gara, al "socio operativo" della società.
Secondo la decisione in commento, infatti, traspare dal citato parere n. 456/2007, per la rigorosità degli argomenti ivi svolti a cui si ritiene che null'altro si possa o debba aggiungere, la preoccupazione di fondo - che attinge, con precipuo riferimento, il modello della "società mista" - secondo cui una «condivisa inconfigurabilità del modello dell'in house per le società miste rischierebbe di condurre, a far valere gli indirizzi della Corte di Lussemburgo, come una sorta di incoraggiamento alla costituzione di società pubbliche al 100%, senza alcuna procedura selettiva e senza alcun ricorso al mercato. Questa Sezione ritiene, invece, che l'affidamento a soggetti pubblici al 100% costituisca, in qualche modo, la negazione del mercato».
Le condizioni che legittimano l'affidamento diretto a società mista
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in esame, preliminarmente, si riporta alla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2008, la quale ha indicato le condizioni alle quali è subordinata la legittimità dell'affidamento diretto di un servizio pubblico ad una società, e al riguardo ricorda che la stessa aveva posto in luce la differenza tra la società in house e la società mista. Difatti, laddove la prima agisce alla stregua di un vero e proprio organo dell'amministrazione "dal punto di vista sostantivo" (in ragione dei richiamati requisiti del controllo analogo e della destinazione prevalente dell'attività dell'ente in house in favore dell'amministrazione), la diversa figura della società mista a partecipazione pubblica maggioritaria, in cui il socio privato sia scelto con una procedura ad evidenza pubblica, presuppone la creazione di un modello nuovo, nel quale interessi pubblici e privati trovino convergenza.
La materia del contendere concerne l'articolata circostanza secondo la quale vengano soddisfatte, nella fattispecie de qua, le condizioni che - secondo il parere della Seconda Sezione del Consiglio di Stato n. 456/2007 - possono legittimare il ricorso al cd. "partenariato pubblico/privato", e la celebrazione di una unica gara per l'individuazione del socio privato e per l'affidamento del servizio, «senza impingere nelle esigenze di tutela della concorrenza affermatesi in ambito comunitario e traslate nel sistema normativo nazionale».
Non viene contestato, quindi, il nucleo fondante del prefato parere del Consiglio di Stato n. 456/2007, nella parte in cui esso ha affermato che «è possibile l'affidamento diretto ad una società mista che sia costituita appositamente per l'erogazione di uno o più servizi determinati da rendere almeno in via prevalente a favore dell'autorità pubblica che procede alla costituzione, attraverso una gara che miri non soltanto alla scelta del socio privato ma anche allo stesso affidamento dell'attività da svolgere e che limiti, nel tempo, il rapporto di partenariato, prevedendo allo scadere una nuova gara».
Le condizioni che consentirebbero, pertanto, il ricorso a tale forma organizzativa, sono così sintetizzabili:
1) che esista una norma di legge che autorizzi l'amministrazione ad avvalersi di tale "strumento";
2) che il partner privato sia scelto con gara;
3) che l'attività della costituenda società mista sia resa, almeno in via prevalente, in favore dell'autorità pubblica che ha proceduto alla costituzione della medesima;
4) che la gara (unica) per la scelta del partner e l'affidamento dei servizi definisca esattamente l'oggetto dei servizi medesimi (deve trattarsi di servizi "determinati");
5) che la selezione dell'offerta migliore sia rapportata non alla solidità finanziaria dell'offerente, ma alla capacità di svolgere le prestazioni specifiche oggetto del contratto;
6) che il rapporto instaurando abbia durata predeterminata.
Nel caso in esame, la costituzione della società mista Sin s.r.l. per la gestione del SIAN non costituisce una modalità di affidamento in house contraria alla disciplina comunitaria, bensì una modalità organizzatoria per lo svolgimento del SIAN articolato in via primaria nella costituzione della società e poi nella sua apertura all'apporto di lavoro di un socio privato prescelto con gara.
Tuttavia, sebbene la complessità dei compiti affidati ex lege al SIAN giustificasse il ricorso al modulo organizzatorio prescelto, una volta preso atto dell'ampiezza della mission a quest'ultimo affidata e dell'obbligo delle amministrazioni di servirsi dei servizi da questo offerti, a giudizio del collegio giudicante, nel caso concreto le condizioni per poter procedere nei termini prescelti dall'amministrazione, non sussistevano ed erroneamente il giudice di prime cure aveva avallato questo modus procedendi (12).
Ma proprio la complessità dei compiti affidati ex lege al SIAN (rivestenti interesse pubblico per espressa previsione di legge e per la obiettiva finalizzazione dei medesimi) "giustifica" il ricorso al modulo organizzativo/collaborativo prescelto.
Confermata l'illegittimità della forma di società mista "aperta" o di tipo "generalista"
Il Consiglio di Stato, nella decisione in commento, si sofferma sulla censura di indeterminatezza del servizio affidato, la quale è connessa a quella concernente l'asserita assenza del requisito della prevalenza dell'attività da svolgere in favore dell'autorità pubblica.
Nella gara sottoposta all'esame del collegio giudicante, ad una puntuale elencazione del nucleo base dei servizi affidati, si era affiancata la previsione della eventualità di servizi ulteriori, ma sempre destinati in favore del socio pubblico e con prefissione di un tetto massimo annuale, comunque assai inferiore all'importo delle prestazioni direttamente destinate ad Agea. Inoltre, anche la circostanza che i servizi (eventuali) in oggetto siano espressamente definibili quali "aggiuntivi e complementari" e che, pertanto, concernano funzioni strettamente legate con i campi tipici di intervento del SIAN, milita, secondo la decisione in rassegna, in favore della reiezione della censura di indeterminatezza.
A fronte della indeterminatezza, infatti, il rischio che si corre è quello di costituire società cd. generaliste alle quali affidare l'esecuzione di lavori o erogazione dei servizi non ancora identificati al momento della scelta del socio, verificandosi di conseguenza una distorsione della concorrenza. Non pare, però, al collegio possa mettersi in dubbio la prevalenza della prestazione del servizio in favore del socio pubblico AGEA.
Con il predetto parere del Consiglio di Stato n. 456 del 18 aprile 2007, si è escluso, per le società il cui socio privato sia stato scelto tramite procedura ad evidenza pubblica, l'automatica possibilità di essere destinatarie di affidamenti diretti per l'erogazione di servizi pubblici.
Detta esclusione, tuttavia, viene rivolta proprio ai casi di società miste "aperte", nelle quali cioè il socio, ancorché selezionato con gara, non sia stato scelto per finalità definite, ma soltanto come partner privato per una società "generalista", alla quale, in un secondo momento, affidare in via diretta l'erogazione di servizi non ancora identificati al momento della "scelta del socio". In tali casi, infatti, si consentirebbe alla società di svolgere anche attività extra moenia, avvalendosi, semmai, dei vantaggi derivanti dal rapporto privilegiato stabilito con il partner pubblico (13).
Si ritiene ammissibile il ricorso alla figura della società mista nei casi in cui essa, nella sostanza, non costituisca la beneficiaria di un "affidamento diretto", ma la «modalità organizzativa con la quale l'amministrazione controlla l'affidamento disposto, con gara, al "socio operativo" della società».
La scelta del partner privato deve ricadere sul cd. socio lavoratore
Un'ulteriore censura esaminata dal collegio, nella decisione in rassegna, riguarda l'asserita carenza di una "condizione legittimante" - secondo il collegio forse la più rilevante, in quanto incidente sulla stessa ratio giustificativa del ricorso a simile modulo organizzativo - tra quelle individuate nel parere n. 456/2007 della seconda Sezione del Consiglio di Stato: infatti, nel sostenersi che la selezione non sarebbe stata, in realtà, mirata a scegliere un partner industriale, un "socio lavoratore", per utilizzare una risalente espressione civilistica, ma a garantirsi il cospicuo apporto di capitale determinato dall'acquisto del 49% delle azioni di Sin s.r.l., si esalta l'effetto distorsivo della concorrenza ex se rappresentato dalla possibilità di partecipare alla selezione "riservata" a realtà organizzative in possesso di elevati capitali sociali censurandosi, altresì, il peso preponderante in concreto attribuito (30 punti) alla componente economica dell'offerta.
L'intera produzione giurisprudenziale della Corte di Giustizia si è andata formando scrutinando casi di affidamento diretto a moduli societari misti costituiti senza la preventiva selezione del soggetto privato attraverso l'espletamento di una gara pubblica.
Gli stessi organi giudicanti hanno avuto, poi, cura di precisare che il partner privato non deve essere un semplice "socio finanziatore", la cui funzione si esaurisce nel conferimento del capitale e, dunque, di risorse finanziarie e patrimoniali, ma deve aver ben altro spessore; in altri termini, esso deve atteggiarsi a "socio industriale".
In estrema sintesi, i giudici del Consiglio di Stato ritengono che il privato selezionato debba essere perfettamente in grado di svolgere le prestazioni che caratterizzano l'oggetto della società mista affidataria del servizio.
Nella specie la qualifica di "socio operativo" ("socio di lavoro" o "socio industriale") viene attribuita, in contrapposizione a quella di "socio finanziario", a quel partner privato di una società mista, che sia stato scelto con una procedura di evidenza pubblica avente ad oggetto, non solo la costituzione della stessa società, ma anche l'attribuzione al soggetto "aggiudicatario" dei suoi compiti operativi e la qualità di socio che "concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello stesso", dovendo dimostrare una determinata capacità, non solo finanziaria, ma soprattutto "tecnico-gestionale".
Risulta, pertanto, legittimo l'affidamento diretto ad una società mista, che sia costituita appositamente per l'erogazione di uno o più servizi determinati, qualora quest'ultima sia supportata, essenzialmente, da due garanzie: la sostanziale equiparazione tra gara per l'affidamento del servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui quest'ultimo si configuri come un "socio operativo"; la previsione di un rinnovo, alla scadenza del periodo di affidamento, della procedura di selezione.
Infatti, nel caso de quo, l'apporto in capitali discendente dall'acquisto delle quote societarie, non costituisce esborso/controvalore economico dell'aggiudicazione della selezione, ma rimane a fare parte del patrimonio della società mista (e, quindi, nella disponibilità del partecipante alla medesima, socio privato di minoranza).
Allo spirare del termine novennale di durata del negozio giuridico, è stato previsto il riacquisto della quota da parte del socio pubblico, e la determinazione del prezzo verrà rapportata anche al patrimonio netto della società predetta, circostanza, secondo il collegio giudicante, che dovrebbe spingere l'aggiudicatario privato e futuro socio uscente ad adoperarsi per una gestione quanto più oculata possibile dell'attività societaria, da ciò dipendendo l'eventuale apprezzamento della propria partecipazione.
Inoltre, lo statuto e i patti parasociali della società mista concorrono ad individuare i compiti del socio privato nello sviluppo e gestione del SIAN; non si è, pertanto, in presenza di sviamenti rispetto alla necessità che il socio privato di minoranza abbia le caratteristiche di socio industriale e che si sia, invece, (il che sarebbe ingiustificabile) ricorso al modulo organizzativo predetto finalizzandolo a reperire un mero socio di capitali.
In tal maniera verrebbe, da un lato, giustificata l'inutilità di una seconda gara ad evidenza pubblica per l'affidamento del servizio, già individuato e caratterizzato (per condizioni, modalità e durata) nel momento costitutivo della società, e, dall'altro lato, evitata la chiusura del servizio alla concorrenza, attraverso la possibilità che il partner privato divenga "socio stabile" della società mista e, quindi, affidatario "a tempo indeterminato" del servizio; rischio superabile soprattutto nei casi in cui siano state chiarite, sin dagli atti di gara per la selezione del partner privato, «le modalità per l'uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all'esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario».
Infatti, i magistrati di Palazzo Spada ritengono che, ai fini della tutela del principio di libera concorrenza, l'affidamento diretto ad una società mista debba necessariamente essere a tempo determinato evitando che il socio divenga socio stabile della società mista.
Conclusioni
La citata Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1/2008, per evitare che il favore espresso dai giudici della Sezione remittente rispetto alla ricostruzione generale delineata dalla Sezione consultiva acquisisse una valenza orientante, ha fatto presente come quella prospettata dal predetto parere n. 456/2007 sia solo una delle possibili ricostruzioni della discussa tematica.
In pratica, la circostanza che la Corte di Giustizia non si sia ancora pronunciata su di una questione analoga e la conseguenziale assenza di precedenti hanno suggerito alla Plenaria un atteggiamento di estrema "prudenza" finalizzato ad evitare interpretazioni per cd. praeter legem.
Dinanzi i giudici comunitari pende, infatti, la questione interpretativa sollevata dal TAR Sicilia, Catania, con l'ordinanza numero 164/08, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 2 agosto 2008 (14).
Questo il quesito sottoposto all'attenzione del Giudice comunitario: «Se è conforme al diritto comunitario, in particolare agli obblighi di trasparenza e libera concorrenza di cui agli artt. 43, 49 e 86 del Trattato, un modello di società mista pubblico-privata costituita appositamente per l'espletamento di un determinato servizio pubblico di rilevanza industriale e con oggetto sociale esclusivo, che sia direttamente affidataria del servizio in questione, nella quale il socio privato con natura "industriale" ed "operativa", sia selezionato mediante una procedura di evidenza pubblica, previa verifica sia dei requisiti finanziari e tecnici che di quelli propriamente operativi e gestionali riferiti al servizio da svolgere e alle prestazioni specifiche da fornire».
Anche a fronte del nuovo dettato legislativo dell'art. 23-bis del D.L. n. 112/2008, e del relativo schema di regolamento, sembra che la questione, in base alla formulazione del quesito, continui a rivestire carattere pregiudiziale e, pertanto, sarà oggetto di decisione da parte della Corte di Giustizia.
È d'uopo, infine, segnalare come il Supremo Collegio amministrativo, con la decisione in commento, così come evidenziato nel citato parere, fornito due anni or sono, senta forte l'esigenza di contrastare il fenomeno dell'affidamento diretto del servizio pubblico in house, in quanto negazione del mercato e dei princìpi concorrenziali in subiecta materia.
L'impressione, però, è che adesso il supremo giudice amministrativo stia tentando di recuperare, attraverso la "promozione" del modello gestorio della società mista, la precedente giurisprudenza amministrativa (soprattutto di primo grado), "favorevole" all'istituto dell'in house providing, divenuto, nell'ultimo decennio, grazie alla disapplicazione o non corretta applicazione delle rigorose condizioni, di matrice comunitaria, lo strumento privilegiato dalle p.a. per l'erogazione dei servizi pubblici, con ogni deleteria conseguenza in termini di concorrenza per il mercato (15).
fonte Il Quotidiano Ipsoa
DIRITTO AMMINISTRATIVO
Con la sentenza appellata il TAR del Lazio respingeva il ricorso di primo grado, sia sotto il profilo della legittimità dell'an della gara che per l'aspetto del quomodo di essa, con il quale era stato chiesto dalla società appellante l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione al RTI controinteressato della gara indetta da AGEA per la «selezione del socio privato di minoranza della società mista SIN s.r.l., istituita ai sensi dell'art. 14, comma 10-bis del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99», dell'intera documentazione di gara (bando, lettera di invito e relativi allegati), di ogni altro atto della procedura di selezione, con particolare riferimento alla totalità dei verbali di gara, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi inclusa la delibera del Consiglio di amministrazione di AGEA del 25 novembre 2005, n. 124 nella parte in cui autorizzava l'affidamento diretto alla SIN s.r.l. dei servizi ivi elencati, ed eventualmente per la disapplicazione dell'art. 14, comma 10-bis, del D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99.
La società appellante impugnava la prefata sentenza domandandone l'annullamento in quanto viziata da errori di diritto ed illegittima, riproponendo, tra l'altro, due censure contenute nel ricorso per motivi aggiunti presentato in primo grado attinenti, sotto vari profili, l'operato della Commissione di gara. Si costituiva in giudizio la società mista Sin s.r.l., già interveniente ad opponendum nel giudizio di primo grado, chiedendo la conferma della sentenza appellata e riproponendo le eccezioni processuali di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, e del ricorso per motivi aggiunti, per difetto di contraddittorio a cagione della mancata notificazione all'unico soggetto controinteressato (Sin s.r.l.), e per tardività in quanto il termine iniziale per proporre il ricorso in primo grado doveva individuarsi nella pubblicazione del bando. Si costituiva, altresì, la capogruppo del RTI controinteressato, spiegando difese coincidenti con quelle svolte dalla Sin s.r.l., ed il Ministero competente il quale chiedeva respingersi l'appello perché infondato nel merito, evidenziando la legittimità e correttezza della procedura seguita.
fonte Il Quotidiano Ipsoa
DIRITTO AMMINISTRATIVO

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